AyD

"I colori delle mie emozioni, robusti e silenziosi nell'incertezza del mio vivere..."

martedì 22 maggio 2012

La Giovanna



                           Yann Tiersen & The Divine Comedy - Les Jours Tristes


Era all’imbrunire del giorno che dalla vecchia panchina osservava i giovani passare, mentre biascicava logori e incomprensibili discorsi che inseguivano il delirio inarrestabile dei suoi pensieri.
Osservava…pensava e tornava di nuovo a sognare, lo sguardo appassito  accennava un sorriso e la Giovanna tornava ad essere quella d’allora: la ragazza dai seni grandi e dagli occhi ribelli che invitava gli uomini con un ammiccare, con l’impercettibile assenso delle palpebre.
Era in un vecchio garage che accoglieva i clienti: un letto cigolante e colorato di rosso camuffava un lavandino scrostato che lasciava sfuggire il tempo goccia dopo goccia. A volte arrivavano piccoli doni che la Giovanna ghermiva con lo scatto pronto di una gazza per mostrarli all’unico raggio di luce…una spilla d’ottone, un anellino informe d’oro rosso o un orecchino malandato sfuggito all’occhio accorto di una moglie.
In una strampalata danza la Giovanna ancheggiava con le sue grosse e robuste forme…le braccia corte si muovevano nell’aria mentre le lunghe gambe saltellavano come salta qua e là la grassa pica  fischiettando un motivetto allegro…
I capelli ricordavano quelli delle bambole di terraglia, stropicciati ed aderenti al capo, trattenuti da cordoncini sfilacciati di lana rossa e   oro… Amava il rosso la Giovanna, le ricordava il focolare acceso,
il calore dell’estate, il sole che scioglie il suo colore nel tramonto estivo, il sangue che scorre veloce nelle vene.
Aveva sempre donato sorrisi di bimba e sogni svagati mentre l’acquaio  ritmava i minuti, le ore e gli incontri…ogni volta un uomo diverso sebbene uguale.
Il mattino di quel giovedì la porta della Giovanna restò chiusa, dall’arcata superiore occhieggiava lo squarcio di un vetro sbilenco, nessun rumore né suono, né cigolar di molle  o incerto ciabattare…
Fu solo a tarda notte che la trovarono, quando l’Antonio uscì per richiamare i cani… entrato quasi di nascosto, gli occhi rivolti vergognosi a terra quasi a nascondere la conoscenza e l’uso del locale…
Quanti sorrisi e sussurri, quante eccitazioni rubate di nascosto…le malandate mura raccontavano gemiti e sospiri mentre ombre curve e solitarie si allontanavano furtive.
Si era addormentata la Giovanna indossando i pochi ricordi sgualciti, stringendo al seno tesori che non le avevano dato né fama né ricchezza… il piccolo e malandato cerchio d’oro rosso rotolato in terra tra grumi di polvere e sporcizia.
Se ne era andata in silenzio tallonata dai ricordi, con l’affanno di portare con sé solo il buono dei suoi giorni, le dita afferravano ancora una foto scolorita e logora, Lorenzo, quel giovane dal viso sognante e lo sguardo ribelle…
Quel figlio senza padre che non aveva mai potuto riconoscere…quel ragazzo educato dalla pietà di beghine e benpensanti, quel figlio a cui la società aveva regalato compassione negandogli però ogni sorta di amore e  perfino il più semplice dei desideri…conoscere il nome di sua madre per ricompensarla del suo "essere uomo".



Aliceydulcinea  alias Maria Vittoria


venerdì 23 marzo 2012

A little love…





                                   Nina Simone - That's All I Want From You



Scrivo al riparo della solitudine lungo un percorso fatto di parole che si fanno tormento e si interrompono sulla soglia del cuore, seduta ai margini di un foglio, lascio filtrare voci tra le rughe marcate dalla malinconia.
Nell’oscurità di un trasandato emporio agonizzano abiti dismessi, vecchi stracci di lana, caldi nel tepore discreto e tenero, stracci ammucchiati alla rinfusa nell’ospizio dell’animo, ripiegato e replicato limite come corda che scende e si avvolge per risalire con circolarità.
Camminiamo verso territori sconosciuti da percorrere, attraversati da chi ci ha preceduto, calpestiamo orme ancora vergini, vuote di sogni e desideri, ombre brevi come il passato, oblio di ricordi e di malinconie irrisolte.
L’essere e il non essere compresi, gli errori, gli accadimenti vari nel loro divenire, tutto riflesso in uno specchio, culla che accoglie il dono della vita, dimenticato premio dell’egoismo umano.
Felici di quel mondo che credevamo nostro, certi che i nostri anni lo avrebbero difeso e conquistato, gustiamo la dolcezza amara della vita.
Sfidiamo gli altri e noi stessi respirando il nostro male e divoriamo sogni raccolti nell’ombra di uno sguardo recriminando i primi istanti che ci hanno separato, insolito presagio di una incerta fine.

Raccattiamo rifiuti in paradisi inutili, appassionati amanti traditi dal loro stesso amore.
Soli in questa confusione di tenebre e luci, legati in un groviglio indissolubile, soli in questo nostro incerto andare…l’alba si insinua per un ultimo viaggio, non ci sarà più tempo…per loro che non credono e non vivono, per te che mi fai male, per me che continuo ad amare, abbandonata ai sobbalzi di parole inutili, nel variopinto vagone naufragato tra i binari di periferia.

Già pubblicata il 14 giugno 2009 e dedicata a Nina Simone
Fiori, fiori per Nina...


Aliceydulcinea alias Maria Vittoria

“All music is what awakes within us when we are reminded by the instruments..."  
 Eunice Waymon
 

lunedì 19 marzo 2012

Salento






Lido delle Conchiglie, tra Gallipoli e santa Maria al Bagno…piccola spiaggia sullo Ionio, l’immagine resta impressa nella memoria, vola, delimita uno scoglio, si immerge nel mare. Vibra di suoni incessantemente e le ondate dei ricordi si abbattono, modellano volti e forme, si ritraggono.
Il mare, si incendiava tra ulivi e giunchi in controluce e la rossa sfera del sole affondava nel turchino scagliando schegge di sole contro le nostre pupille.
Io, Nando e Mino saltavamo qua e là sugli scogli che non lasciavano tregua alle nostre gambe cercando polipi e paguri, nel buio…solo i boati dei pescatori di frodo. Le nostre grida si rincorrevano serene mentre ci assalivano i primi turbamenti e poi la sera liberava la nostra meraviglia che si tuffava in mare per scoprire dove annegava il sole.
Il cuore batteva all’impazzata e noi…non capivamo il senso dell’amore.
La notte, nel cerchio giallo di un lume a petrolio ascoltavamo storie pennellate di segreti e paure che le vecchie narravano ghignando e noi, rapiti ed angosciati, ci stringevamo ancora per avvertire i battiti farneticanti del nostro cuore….Gli anni sono trascorsi, ci siamo persi, ritrovati e nuovamente persi ma quel disco rosso rubino che cade dentro il mare mi segue come un ombra…è il mio calore, il mio ricordo, la mia infanzia, è ancora la mia vita.


 La luna rotola
Distesa nella notte
Fili colorati in sentieri di sogni
Appesi a stelle fisse.

Aliceydulcinea alias Maria Vittoria

 

giovedì 8 marzo 2012

Something I could not ignore






                          
Lungo dimenticati pensieri
mi arrampico
accantono attimi strappati
al silenzio della notte
Indugio nel mio sonno vigile
Ti affacci ai miei sogni
omaggio di sguardi sulla valle.
Ascolto memorie ritrovate
parole bisbigliate, segreti spazi
rifugio di donna
si affaccia sul crepuscolo
 inconfessata attesa.
Profilo controluce
avvolto da ombre indulgenti
riflessi di tramonto
su benevoli specchi,
sottili membrane
dissolte nel cielo.
Diaframma capovolto di sogni
Consistenza duttile e tenera
oggetto di stupore
di segreta sventura
desiderio e delirio,
istante favorevole della mia follia.

Fiori, fiori per Nina...

Aliceydulcinea
alias Maria Vittoria


mercoledì 7 marzo 2012

Miran



Pantaloni al polpaccio, spalle strette e braccia al ginocchio, passava ogni giorno alla solita ora, camminava senza fermarsi, il basco calzato sul capo fin a coprire gli occhi.
Il suo movimento era ritmato dal flettersi delle gambe, ad ogni incrocio si fermava…sembrava riflettere ma era solo una brevissima attesa e uno sguardo furtivo per non essere investito dai rari veicoli presenti in paese.
I pantaloni corti erano gli stessi di quando era ragazzo, le scarpe risultavano vecchie e pesanti, il suo andare metodico, scandito dal tempo che passava lentamente.
I suoi occhi erano vuoti e persi in uno spazio lontano, Miran lo slavo, Miran il senza patria.
Il lavoro colmava l’assenza dei ricordi mentre le dita stringevano cazzuola e cupă per preparare la malta ed i suoi gesti sembravano ripetere un antico rituale…pietra dopo pietra, fila dopo fila, legando i vuoti con malta fine.
Cercava le pietre lungo l’argine del torrente o rubandole allo scorrere dei flutti: pietre bianche e ruvide ma continue al tatto come un vecchio tessuto di lino e canapa…le accarezzava mentre le sceglieva per valutarne l’uso e parlava loro con tono sommesso mentre le poneva in un grande fardello.
Pietre bianche combinate a pietre grigie e nere…a volte i resti di vecchi fondi brillanti di bottiglie completavano l’innalzarsi di muri e confini.
La sua giornata era interminabile e la sera, quando la luce non permetteva più il lavoro, Miran andava a riposare. Con il suo passo saltellante e ritmico rientrava per la solita via mentre i ragazzini lo rincorrevano per divertirsi e lo apostrofavano - slavo, slavo, slavo…- ma Miran procedeva con il suo solito sorriso.
E le pettegole sulla porta si chiedevano…- Ma perché sorride?!  La sua vita può essere migliore della nostra??!-
E lui andava e andava  con le sue braccia lunghe e il cappello calato sulla testa.
 Gli anni trascorrevano lenti ed uguali per Miran, i suoi muretti bianchi e colorati racchiudevano gli spazi del paese come in uno strano ricamo, quasi un rammendo.
Linee rette, curve e sghembe si intrecciavano ripetutamente ed il paese sembrava racchiuso da una simmetrica e precisa ragnatela: immobile nei i suoi confini, con le piccole case racchiuse in spazi definiti  da strade, vicoli, muri e limiti.
Il suo passo echeggiava sicuro lungo il vecchio tracciato del paese, ormai trasformato in un labirinto complicato di cui solo lui conosceva il segreto per entrare ed uscire.
Il paese con il trascorrere degli anni esaurì ogni risorsa per vivere…
gli abitanti finirono il mais, i chicchi di grano, gli ortaggi che coltivavano, le semenze…i bambini affamati non ridevano, non rincorrevano più lo slavo; i vecchi e persino gli adulti cominciarono a morire pian piano di fame e d’inedia.
Miran proseguì ad innalzare le sue strane mura che ora non custodivano più case e confini, orti e terreni ma i corpi di chi continuava a morire.
L’ultimo muro o forse l’ultimo mucchio sconnesso di pietre Zoran lo innalzò per lui poco prima di lasciarsi imprigionare dall’ultima parola di questo racconto…

Aliceydulcinea alias Maria Vittoria





domenica 4 marzo 2012

La stanza era in penombra...




La stanza era in penombra, guizzi improvvisi di luce dalle persiane accostate illuminavano vortici di pulviscolo dorato che si innalzavano danzando per poi diluirsi attraverso le fessure delle imposte.
Una donna dall’ovale morbido e pieno, si muoveva negli spazi con sicurezza, il corpo non tradiva la sua età né la stanchezza.
Riordinava la casa con affetto ed attenzione…lisciava una piega del sofà, toglieva un baffo di polvere dal candelabro,  puliva il vetro del tavolo accarezzandolo complice mentre la superficie le rimandava un volto senza rughe…
Il tempo sembrava essersi fermato per lei, occhi grandi e labbra generose nascondevano i suoi pensieri ed a volte le donavano una falsa sicurezza.
Elena proseguiva a riordinare il soggiorno riflettendo tra sé e sé, ricordi diversi affluivano ostinati come lo scorrere di un fiume, si mescolavano ai granelli di polvere per adagiarsi  intorno con la fragranza della cera profumata.
Gli  occhi bruciavano, la lingua nervosa accarezzava labbra colme di  amarezza mentre le mani veloci e nervose continuavano a riordinare in una sorta di automatismo ripetitivo. La donna sembrava ascoltare le note che arrivavano dal vecchio stereo, uno schermo illuminato rimandava toni violacei e azzurrini mentre un’emoticon continuava a rimbalzare da sud ad ovest…le parole erano arrivate improvvise via mail, le aveva lette e rilette nuovamente cercando di afferrarne il senso, cercando di scoprire le ragioni che le avevano prodotte, cercando di recuperare dalla memoria le cause che le avevano   annunciate.
Un uomo e una donna, il suo uomo e un’altra donna, un equivoco, uno sciocco equivoco, così lo aveva definito Roberto.
Le parole, piccole mosche nere svolazzavano sulla pagina web, si infiltravano veloci negli spazi dell’anima, invadevano ogni piccolo anfratto del corpo, ogni centimetro d’epidermide.
Il virtuale si era insinuato velocemente per non restare solo probabile, appropriandosi delle sue paure e perplessità, distruggendo ogni bene acquisito…tutte le certezze.
Elena proseguiva a guardare tra gli spiragli della finestra, aspettava di vederlo arrivare con il suo sorriso timido, con il suo nascondersi dietro una tranquillità artefatta…

…Era un giorno di maggio, assolato e caldo, una primavera singolare che anticipava la calura estiva…l’intensità del desiderio si era mantenuta paradossalmente intatta nel tempo e nella memoria…
Una innata timidezza portava Elena a temere quell’incontro, la faceva sentire a disagio per la sua altezza, per l’abbigliamento colorato e fuori moda che tentava di mimetizzare i riflessi accesi dei capelli.
Un sole impietoso amplificava il senso di malessere, il corpo fradicio di sudore si era trasformato in un fardello ingombrante e fastidioso che accresceva a dismisura la sensazione di sentirsi fuori luogo.
Incontro voluto, atteso, desiderato da tempo…
Elena non si chiese se avesse sbagliato modalità e tempi,  un’accanita frenesia continuava ad alimentare il fuoco che la portava a bruciare le distanze ed ogni eventuale ragionamento. Il suo corpo e la sua vitalità desideravano quell’incontro, unico appiglio per un’anima in fuga.

All’improvviso non ebbe più timori, smise di pensare di essere arrivata fuori tempo massimo…una berlina blu era apparsa al limite della strada, l’auto non pose domande ma l’accolse nella frescura e nel silenzio per cancellare ogni possibile ripensamento.
La preoccupazione di essere sola con lui non le vietò di osservare il volto dell’uomo dove sembravano mescolarsi tenerezza e allegria, le mani energiche accarezzavano il volante e guidavano con sicurezza offrendo appigli di serenità che annullavano le perplessità che la donna ancora avvertiva con violenza.
Era stato un conoscersi rapido e incontenibile tra le parole del web, un inseguirsi di affanni e gioia, di false verità e improbabili  certezze…Elena ora percepiva con forza la paura di trovarsi sola con lui, una paura che chiudeva lo stomaco, toglieva il respiro, la portava a desiderare di riafferrare i primi momenti che l’univano a lui…
Pochi secondi potevano bastare per cancellare ogni serenità apparente, ogni intuizione d’affetto in cui aveva creduto precedentemente…solo pochi secondi per annullare ogni ragionamento, ogni momento sereno vissuto, solo pochi attimi per lasciarsi sfuggire la sua anima.

Elena continuava a spostare e a risistemare oggetti…una penna, una rosa essiccata, una luce ad intermittenza oramai superata dai Leed, un vecchio blocco notes…briciole di un passato remoto, gocce inutili di memoria.
Le ante della finestra si aprirono all’improvviso e una folata di vento cambiò nuovamente ordine agli oggetti, il silenzio venne infranto dai petali che cadevano sul tappeto sparpagliati tra i colori caldi e morbidi.
I suoi piedi cercarono di schivarli ma li sbriciolarono in un solo attimo, entrò il sole e un raggio allegro e vivace trasfigurò la stanza in un cangiante caleidoscopio che annullò definitivamente ogni residuo d’ombra.
Elena uscì e chiuse casa incamminandosi nel giardino…aria, aveva bisogno di respirare aria, aveva un estremo bisogno di luce e di certezze…chiamò con vivacità suo figlio, ed il sorriso luminoso che si affacciò nel suo sguardo cancellò quei ricordi  inutili e sterili che non avrebbero potuto mai distruggere la sua felicità…


Aliceydulcinea
alias Maria Vittoria

mercoledì 1 febbraio 2012

Ancora un nuovo blog...


Ancora un nuovo blog… un nuovo post per ricominciare a scrivere dopo una lunga interruzione, un nuovo spazio per ospitare quello che amo fare…scrivere e disegnare.
Ricomincio con un po’ di rimpianto per non essere riuscita a portare con me una valigia di fogli sparsi, di colori e schizzi depositati all’ombra di una pensilina abbattuta dalla pressione dei social network.  
Addio Splinder, addio da quell’Aliceydulcinea che amava ed ama ancora scrivere e disegnare, ascoltare musica, passeggiare e giocare con Speedy, un volpino di tre anni.
Addio dalla donna che amava ed ama il teatro, la musica classica, le marionette ed i funamboli del circo, addio isola felice ricca di suoni e parole, Aliceydulcinea ha ricevuto tanto da te, tanto quanto lei ti ha dato.
Alice prosegue il suo percorso di donna e di madre attraverso l’amore inesprimibile per i figli, attraverso il sorriso del compagno, quel sorriso che l’ha conciliata con il mondo…attraverso i ricordi del trascorso scolastico con il suo attivo e passivo, con le voci ed i sorrisi dei “suoi ragazzi” che non la lasceranno mai.
Aliceydulcinea…Mavi…Maria Vittoria  continuerà ad amare la sera e la notte che la portano a pensare e riflettere, proseguirà a detestare assopirsi perché ha sempre percepito il sonno come un ladro di Vita (accettabile solo in quanto padre di sogni  e di memorie  che sfuggono alla lucidità del giorno).
Coltiverà come ha sempre fatto l’amore per il mare, per le spiagge del sud…continuerà a partire ed a  tornare ai suoi “non luoghi”, al suo  essere fantasia e quotidianità perché ama la Vita e perché vivere è immensamente grande e meraviglioso...MV



1 febbraio e primo giorno di neve a Forlì…il silenzio è totale, dalle finestre chiuse filtrano bagliori chiari di luce, si odono solo rumori attutiti dal soffitto e passi pesanti sulle scale. Scosto la tenda e il bianco abbagliante della neve mi riporta indietro nel tempo, ad un 31 dicembre ormai trascorso.
Una finestra affacciata verso Bergamo alta, case e chiese avvinghiate alle pendici del colle e illuminate a giorno dalla moltitudine di fiocchi di neve che scendevano dal cielo…si intrecciavano per poi risalire e ricostruire strani percorsi eterei e lucenti.
I vetri riflettevano natali trascorsi, i natali della mia  infanzia custoditi in quelle  sfere di vetro che stringevo con forza nelle mani per non farmele rubare dal fratello maggiore…Ma all’improvviso ecco arrivare il count down…tre, dueee, unooooo……ed allora quel paese raccolto nella sfera di vetro  si illumina sotto una pioggia di colori, fontane di luce che si aprono in zampilli luminosi e colorati  per illuminare l’oscurità della notte.
Gioia pura che cancella  ogni ricordo di sofferenze, di  terapie invasive e lascia  solo lacrime di gioia,  sorrisi increduli che mi fanno ancora dire: “…Piacere morte, felice per non averti conosciuta!”

Aliceydulcinea alias Maria Vittoria